Palestina

Pace Lontana

(traduzione dall’inglese dalla rivista “Forward for the liberation of land and man”, organo del  Fronte Popolare di Liberazione della Palestina - Comando Generale, n.151, agosto 1998)

 

La posizione di Nétanyahu e del governo del Likud verso un accordo di pace è scaturita dall’assunzione del fatto che le terre Arabe occupate con le aggressioni militari devono rimanere “parte di Israele”. Iniziando  in questo modo essi puntano a demolire tutti gli sforzi fatti per costruire una possibile pace.

Le dichiarazioni di Nétanyahu e altri funzionari “israeliani” insistono sulla loro intenzione di tenersi i territori occupati nel 1967. Dichiarando apertamente il loro rifiuto della formula “terra in cambio della pace”, essi riaffermano anche la loro intenzione di continuare la costruzione di insediamenti nelle terre usurpate. Tutto ciò in aperto contrasto non solo con l’opinione pubblica mondiale desiderosa di una risoluzione del conflitto Arabo-Israeliano, ma persino con gli accordi che lo stesso “Israele” ha definito e sottoscritto.

Fin dal 1967, i leader “israeliani” avevano dichiarato che la sola via per stabilire la pace nell’area fosse quella del negoziato diretto con ogni stato Arabo coinvolto nel conflitto. Questa richiesta di negoziati diretti appare a prima vista logica e innocente, e di riflesso una positiva, realistica e pacifica posizione. Ma un attento esame della politica “israeliani”, dalla fondazione dello “Stato Ebraico” nel 1948, e in particolare sin dalla Conferenza di Madrid, è sufficiente per distinguere questa richiesta ed i suoi obiettivi reconditi da ogni vero desiderio di una pace giusta e permanente in questa parte del mondo.

Tradizionalmente la diplomazia “israeliana” non ha posto nessuna fiducia nelle soluzioni politiche e negli accordi. Le sue violazioni degli accordi e delle convenzioni internazionali e delle convenzioni rimangono ineguagliate. L’appello per la pace ed i negoziati con i suoi vicini Arabi è sempre stata una copertura per nascondere la reale natura aggressiva e coloniale del Sionismo. Infatti la visione israeliana della pace si basa sulla politica dei fatti compiuti con la forza delle armi. Una pace così è rifiutata dalle nazioni Arabe ma anche da tutte le istituzioni internazionali. La colonizzazione “israeliana” dei territori occupati rimane il più serio ostacolo per il raggiungimento della pace in Medio Oriente. Ci sono caratteristiche comuni per tutti i regimi di occupazione e di colonizzazione, ed i metodi di “Israele” non si possono considerare meno barbari di quelli praticati dalle forze di occupazione Naziste durante la 2a guerra mondiale.

In alcuni casi sono gli stessi dei Nazisti. Il fatto che “Israele” sia stato a lungo considerato in Occidente come uno stato esemplare, libero da qualsiasi difetto tipico delle potenze coloniali, e che i maggiori esperti politici hanno a lungo rifiutato di riconoscere che non c’è una differenza sostanziale tra “Israele” e qualsiasi altra forza di occupazione, dimostra semplicemente che i governanti di “Israele” sono colonialisti che fanno un grande uso della demagogia per nascondere il loro vero volto.

Fin dal primo giorno della loro occupazione le autorità “israeliane” iniziarono a colonizzare i territori Arabi che avevano conquistato. Gli obiettivi economici e strategici dell’occupazione sono inseparabili e si integrano uno nell’altro. E’ abbastanza ovvio che le autorità “israeliane” siano riluttanti a restituire le terre occupate ai legittimi proprietari. La costruzione degli insediamenti ebraici nei territori occupati è una manifestazione alquanto impressionante della reazione anti-Araba da parte degli “Israeliani”, e questo è illegittimo sia giuridicamente che politicamente. Immediatamente dopo la fine della guerra del Giugno 1967, il primo insediamento sorse sulle alture del Golan. Nel settembre dello stesso anno i coloni ebrei edificarono il Palazzo Etzion vicino a Hebron. La costruzione di insediamenti procedeva ad una velocità considerevole, ed il loro numero cresceva di continuo.

Se uno volesse riassumere in una parola le molte leggi, volutamente complicate, che regolamentano la vita e le attività quotidiana dei Palestinesi Arabi in “Israele” e nei territori occupati, la parola sarebbe “dispotismo”. Dispotismo, saccheggio sistematico, umiliazione, usurpazione delle terre Arabe e Palestinesi, demolizione di case, e terrorismo, ognuna di queste cose rappresenta i “fatti compiuti” della politica di “Israele”.

I lunghi decenni di occupazione dei territori Arabi e della tragedia infinita del popolo Arabo di Palestina, privato della possibilità di esercitare i loro legittimi diritti nazionali come il risultato delle politiche ed azioni aggressive di “Israele”, rendono la possibilità della pace nell’area più lontana che mai. Per trovare un realistico e concreto approccio al problema del futuro del popolo Palestinese all’interno della struttura di una giusta e duratura risoluzione, è soprattutto necessario assicurare i diritti del popolo Palestinese, che comprendono i loro diritti di autodeterminazione e l’instaurazione dello Stato palestinese.

Scindere la risoluzione del problema del Medio Oriente dal suo cuore -la questione Palestinese- significa screditare e indebolire l’idea stessa di una pace giusta ed equilibrata in Medio Oriente. Per assicurarsi una pace genuina gli “Israeliani” devono ritirarsi da tutti i territori che hanno occupato -West Bank [Cisgiordania] e striscia di Gaza, alture del Golan, Libano del Sud-, gli insediamenti ebraici devono essere smantellati, e i diritti nazionali e gli interessi del popolo e degli stati nella regione devono essere ripristinati.                       (traduzione a cura di un prigioniero politico)